La seconda navigazione.

Vuoi che ti esponga, o Cebete, la seconda navigazione
che intrapresi per andare alla ricerca di questa causa ?
(Platone, Fedone, 99 C-D)

Il fotografo ha la fortuna di poter costruire le immagini
ricevendole, il gesto di fotografare consiste nel ricevere,
è un modo di leggere il mondo interpretandolo.
E’ nella maniera in cui si sceglie i suoi rettangoli o quadrati
di tempo e di vita che il fotografo finisce col costruire il suo mondo.
(Ferdinando Scianna)
                                                                                                                                      

Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis
vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent:
Σίβυλλα τί θέλεις; respondebat illa: ἀποθανεῖν θέλω. »
(Petronio, Satyricon, XLVIII)

 
1 Ombre sulla sabbia.

Parto da una immagine di Gilberto Urbinati. Questa.

Su una superficie terrosa, incava,verticale s’accampano ombre umane. Una due quattro. Altre si immaginano fuori dal quadro.
Non chiesi a Gilberto cosa “realmente” fosse ritratto nella fotografia, rimasi colpito dall’immagine, dai suoi elementi.
Pensai subito ad altre ombre, altre superfici , pensai al mito della Caverna di Platone.
Schiavi incatenati e condannati a guardare solo ciò che la luce di una fiamma proietta sulla parete della grotta davanti ai loro occhi.
Oggetti e figure passano alle loro spalle davanti al fuoco. Le loro ombre – proiettate sulla parete della caverna – sono l’unica realtà che gli incatenati possono vedere: parziali minimi illusorii rimandi alla realtà vera alla quale non potranno mai attingere. La nostra condizione umana – sostiene Platone – è proprio questa: siamo condannati a vedere simulacri della realtà ma non la realtà. La realtà – dice Platone – è altrove.

“ Ero sulla spiaggia e c’erano degli adulti che giocavano a biglie su una pista di sabbia battuta…Le loro ombre proiettate su un pezzo della pista di gioco…Era una foto in verticale, le ombre orizzontali…poco interessante. Allora ho provato a ruotare l’immagine di 90 gradi, e tutto divenne improvvisamente molto più interessante”

 

2 Pensando vivi Federico Fellini, Goya e Bacon

In alto su una parete di casa ho tre scatti in sequenza che Urbinati ha fatto al cimitero di Rimini.

La luce è chiara, ma non forte. Gilberto sta fotografando la scultura di Pomodoro che segna la tomba di Federico Fellini e Giulietta Masina. Sta cercando nella tessitura complessa del bronzo ora scarnificato e brutale, ora lucido e polito, la chiave di senso, la ragione di un comporre, di un ritagliare, di un ri-prendere. All’improvviso sagome umane passano alle sue spalle e si specchiano inconsapevoli nel bronzo, davanti ai suoi occhi.
Riflessi: lembi di materia bianca, rossa, rosa contro una rena color ocra pallido. Sono i toreri che entrano baldanzosi nell’arena, sono i compagni dolenti che escono trasportando il corpo del matador dilaniato dal cornate. Sono pennellate ardenti di Goya, la pagina mancante di uno dei suoi inferni umani.
Sono le urla cromatiche di Francis Bacon, le devastanti esplosioni di carne e materia che squadernano davanti ai nostri occhi pigri tutto il loro ( nostro ) allarme esistenziale. L’effetto è moltiplicato dalla porzione della fotografia in cui la superficie riflettente lascia intravedere una struttura diversa e sottostante.
Quale migliore discorso in vita ( al posto di tante sterili e inutili commemorazioni post mortem ) poteva meritarsi Federico Fellini? Lui che ha fatto del gioco trascensionale della realtà la cifra di una nuova ( nel senso di inedita ) consapevolezza del nostro esistere ?
Nell’atto fotografico Gilberto Urbinati recepe la “realtà” ( il mondo di Ferdinando Scianna ) , essa gli appare in forme, relazioni e contesti. Gilberto Urbinati se ne appropria con un’intelligenza dei sensi rara , ne percepisce le potenzalità, li rielabora in nuovi rapporti e nuovi significati. Tutto questo nell’attimo infinitesimale e infinito che separa lo sguardo dallo scatto.

 

3. La seconda navigazione: una panchina e una melagrana.

Una panchina nel sole di un giardino. Una melagrana spaccata periclitante sul bordo di un tavolo.
Apparentemente la prima visione, cioè la “prima navigazione”, non lascia adito a dubbi. La realtà questa volta appare inequivocabile, senza appello. Una panchina è una panchina. Un frutto squarciato è un frutto squarciato.
Eppure – le immagini composte da Gilberto sono sotto i nostri occhi a dimostrarcelo – avvertiamo chiaramente che la navigazione è appena cominciata. Gilberto Urbinati ci spinge verso il largo a bordo delle sue fotografie. Ma attorno a noi il mare è diventato liscio come una lastra d’ardesia e ogni brezza è cessata. Possiamo stabilire la rotta che vogliamo, ogni direzione sarà quella giusta. L’importante non è dove arriviamo ( cioè quale senso ulteriore noi conquisteremo dentro alle sue fotografie ) poiché per ognuno di noi può esserci una meta diversa ( cioè ognuno di noi coglie il senso conseguente del proprio vissuto personale ). L’importante è navigare. Con fatica, a forza di braccia e di remi. Lenti o veloci non fa differenza: la seconda navigazione non è questione di tempo, ma di bruciante scoperta. Là, oltre l’orizzonte, la nostra meta c’è e ci aspetta.

 

4. La solitudine dell’homunculus – una provvisoria conclusione.

Torno al gioco delle associazioni per tentare la mia navigazione seconda della ( per me ) più difficile tra le immagini “multiple di senso” di Gilberto Urbinati. Questa.

Mi appare una creatura minima ma divina per le sue armoniche proporzioni e il suo essere attaccato a un supporto inestimabile. L’omino ( homunculus) è metafora per eccellenza del tendere prometeico dell’uomo, della sua sfida inane alla Natura. Homunculus è la concezione alchemica di una nuova vita, che nasce grazie allo sperma e allo sterco di cavallo. Homunculus è il Golem e Frankenstein. Homunculus è la riduzione della nostra complessità alla domanda sintesi di tutte le domande.
Nel Satyricon Petronio accenna in poche righe al destino della Sibilla Cumana. A lei Apollo concesse tanti anni di vita quanti erano i grani di sabbia che poteva raccogliere in una mano. Il dio concesse alla profetessa vita, ma non giovinezza. La Sibilla Cumana dunque invecchiò all’infinito finche polverizzata dal Tempo non si ritrovò ridotta a una larva quasi invisibile. Petronio ci consegna così una delle metafore più belle del nostro destino di homunculi .
Io stesso ho visto con i miei occhi la Sibilla di Cuma che pendeva dentro un’ampolla, e i ragazzi le chiedevano: “Sibilla, che cosa desideri?” e lei rispondeva: “Voglio morire”
Il nostro senso ultimo come creature nate all’Essere è il desiderio di Non Essere. E lo confessiamo a bambini crudeli nella loro spietata sete di verità.
Che cosa vuoi Essere ?
Non Essere.
Per questo la piccola barca che Gilberto mette a nostra disposizione con le sue immagini è tanto diversa, potente, inarrestabile.
Ci permette di navigare nel mare dell’Essere, della sua molteplicità infinita e unica. E pare pronta a rispondere alle nostre infinite inquietudini con il rilascio di visioni infinite. E labili come i nostri sogni.

 
Tale son’io che quasi tutta cessa
mia visione e ancor mi distilla
Nel cuore il dolce che nacque da essa.
Così la neve al sol si disigilla
Così al vento ne le foglie levi
Si perdea la sentenza di Sibilla.

 

Adolfo Conti

Rimini, 17 dicembre 2016